Ultima modifica: 22 Ottobre 2021
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Arjola Trimi si racconta agli studenti della scuola media “U. Saba” (articolo da Il Giorno)

La versione originale dell’articolo si trova sul sito Ilgiorno.it (insieme a un video realizzato nell’atrio della scuola media del nostro Istituto)

Qui potete scaricare l’articolo pubblicato su Il Giorno di venerdì 22/10/2021

Arjola Trimi, a tu per tu con la campionessa paralimpica: “Lo sport è una scuola”

La nuotatrice milanese si racconta oltre le due medaglie d’oro vinte a Tokyo

di MAURO CERRI
 

Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza per conoscere la differenza.

La preghiera della serenità, scritta nel XX secolo dal teologo Reinhold Niebuhr, risuona anche senza parole nel racconto di Arjola Trimi, la nuotatrice tetraplegica 34enne, vincitrice di due medaglie oro e un argento alle Paralimpiadi di Tokyo. Non senza fatica, la campionessa italiana, di orgini albanesi, ha trovato serenità, coraggio e saggezza tanti anni fa nella vasca di una piscina ascoltando le parole di un suo allenatore: “Le gambe non le muoverai più, inutile che ti sforzi tanto. Devi concentrarti sul resto del corpo”.  Quell’insegnamento, Arjola, lo ha immerso con sè nell’acqua e lo ha poi portato fuori, nella vita quotidiana dove spesso la fatica non è minore a quella del mulinare le braccia in vasca.

“Fino a quel momento, sprecavo tantissime energie per muovere il mio corpo come avevo sempre fatto, come se potessi ancora contare sull’aiuto delle mie gambe: ma non era più così. Poi ho imparato a indirizzare i miei sforzi sulle braccia, scegliendo, concentrandomi”.

 

Da lì il salto di qualità e intensità, nella consapevolezza di sè e nei risultati in allenamento e in gara. Un percorso in salita, come tutte le traiettorie vincenti, che l’ha portata da Milano fino a Tokyo dove poche settimane a ha conquistato i suoi primi ori olimpici, ben due in 48 ore – la medaglia più preziosa nella gara dei 50 metri dorso categoria S3, poi i 100m stile libero – e, non contenta, la medaglia d’argento con la staffetta mista 4×50 stile libero insieme a Giulia Terzi, Luigi Beggiato e Antonio Fantin. Da Bruzzano, il quartiere dove vive, allo sconosciuto Giappone dei fumetti, dieci giorni in una bolla, quella gonfiata dalla pandemia che chiude tutto il resto fuori: pubblico, parenti e amici. E ritorno. Il ritorno nella scuola media Umberto Saba (istituto comprensivo Cesare Cantù) dove ad aspettarla e “intervistarla” ci sono quattro classi di prima. Molti bambini, altrettante domande, tra riflessioni e ascolto.

“Ho scoperto la mia malattia a 12 anni da un giorno all’altro – racconta Arjola – dopo una caduta mentre giocavo a basket”. L’intervento, una gamba che non risponde più agli stimoli, poi l’altra, fino alla diagnosi che non lascia speranze: una malattia neurologica che le paralizza gli arti inferiori e la costringe su una carrozzina. Il dolore, la scoperta di essere diversi.

 

“Sì siamo tutti diversi – sottolinea lei – nè migliori, nè peggiori ma differenti”. Nel corpo o dentro l’anima. Quest’ultima può cedere o reagire, come ha fatto Arjola che da sportiva convinta (“da ragazzina ho fatto basket, calcio, atletica a livello agonistico”) ha trovato nel nuoto (“l’unica disciplina parlimpica che potevo fare senza carrozzina”) l’ancora per issarsi, emergere e migliorare. Quanto al corpo, il prezzo da pagare non è solo l’immobilità e il “doppio del tempo per fare le stesse cose” ma anche l’insensibilità che sconfina nella cattiveria.

“Non ho mai subito atti di bullismo veri e propri per i miei problemi fisici – ricorda – ma una volta da bambina i passeggeri di un bus non mi fecero salire perché non avevano tempo di aspettare che l’autista aprisse la pedana: la prima volta che mi hanno fatto pesare la mia diversità”. La discussione ha poi virato su altri temi. “Mi alleno cinque volte a settimana per due ore – spiega l’atleta della Polha Varese, sposata e impiegata di banca – perché il talento ti fa vincere una volta, mentre la fatica ti conduce al successo. Quale il segreto delle mie vittorie? Ho sempre creduto in me, anche quando ero l’unica, se volevo mollare era la mia famiglia a sostenermi.” Una famiglia generosa e speciale. “Quando avevo due anni i miei genitori hanno deciso di lasciare il lavoro in Albania per venire in Italia e ricominciare da zero per garantire un futuro a me e mia sorella”.

 

Poi l’importanza dell’amicizia, degli interessi diversificati e degli obiettivi da porsi. “Al momento queste medaglie mi appagano e sono contenta di poter firmare autografi e partecipare a incontri – chiosa Arjola – ma non sono una che si pone limiti”. Presto scopriremo dove fisserà il prossimo.